MISSING OUTS (2023)
Concept and direction Elisabetta Consonni Assistance to the direction Francesco Dalmasso Dramaturg Chiara Organtini Performance Daniele Pennati Co-production Danae Festival With the support of Lavanderia a Vapore, winner of the AiR competition Project selected by KRAKK, the artistic residencies program by Santarcangelo Festival
The project is inspired by In Praise of the Unlived Life, an essay written by the English psychoanalyst Adam Philips, which offers an interesting perspective on the typically Western neurosis that leads to a continuous desire for a different life, constantly living in the gap between who we would like to be one day or who we failed to be in the past and who we are in the present. In a society based on the inflation of the 'specialness' of the self as a singular unit constantly striving for success, we grow up thinking that we are made to be special, but soon realise how accidental we are and that we have to live in a world where we are absolutely anonymous. Therefore, we seek our satisfaction in the perpetual present of consumer capitalism, where "knowing ourselves" simply means "knowing what we want to have".
We are constantly haunted by the myth of what could potentially be achieved with the right choice, among the endless possibilities the world shows us. If we do not make the right choice, it is a mistake either ours or the world's. "We all lead two lives, the one we live and another one on the side, a parallel life that we never realise, that we live in our minds; the life we long for and fantasize about: the risks we never took, the opportunities we missed or were not granted. We call it the unlived life because, in some way, we believe we could have lived it but for some reasons it was not possible. […]. We share our lives, in a way, with the people we failed to be: an elegy to unmet needs, sacrificed desires, and roads not taken".
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Il progetto prende spunto dalle tesi dello psicanalista inglese Adam Phillips contenute nel saggio In Praise of the Unlived Life. Adam Phillips traccia un'interessante prospettiva sulla nevrosi tipicamente occidentale del continuo desiderare una vita diversa, nevrosi che porta a vivere costantemente nella zona di scarto tra chi vorremmo essere un giorno o chi non siamo riusciti ad essere nel passato, e chi siamo nel nostro presente. In una società di crescente individualismo dove la "specialità" del sé è assioma inflazionato e imperativo, cresciamo coltivando un’ossessione per la nostra unicità e il suo conseguente successo. Presto però ci rendiamo conto di quanto ciascuno di noi sia elemento accidentale e che l’anonimato è qualcosa con cui dover fare i conti. Secondo Phillips, il modello capitalista è generativo di questa frustrazione, stabilendo quel circolo vizioso interno a se stesso per cui sempre più siamo indotti a "conoscere noi stessi" attraverso l’idea di possesso: “conoscere ciò che vogliamo avere".
Siamo costantemente perseguitati dalle chimere di ciò che potenzialmente potremmo realizzare se solo fossimo in grado di fare la scelta giusta e scegliere tra le infinite possibili strade che il mondo offre, nessuna irrinunciabile ma tutte che si escludono l’un l’altra. Mancare la scelta giusta diventa allora un errore imperdonabile: "Tutti noi conduciamo due vite, quella che viviamo e un'altra a lato, una vita parallela, che non realizziamo mai, che viviamo nella nostra mente, la vita che desideriamo e di cui fantastichiamo: i rischi che non abbiamo mai corso, le occasioni che abbiamo perso o che non ci sono state concesse. La chiamiamo vita non vissuta perché, in qualche modo, crediamo che avremmo potuto viverla ma per qualche motivo non è stato possibile. [...] Condividiamo le nostre vite, in un certo senso, con le persone che non siamo riusciti a essere: un'elegia ai bisogni non soddisfatti, ai desideri sacrificati e alle strade non percorse".